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Per una filosofia del viaggiar sano

Non un invito a vedere altro, bensì altrimenti. In anticipo sui tempi, ben prima che il mondo si scoprisse globalizzato, il filosofo Michel Foucault aveva riconosciuto alla scrittura una responsabilità decisiva: spogliarci della pretesa di conoscere qualcosa di radicalmente diverso da noi stessi, mostrando piuttosto come quest'illusione nasca solo da un errore di prospettiva. Ovunque ci si spinga, non usciamo mai dalle nostre categorie mentali, non possiamo fare a meno di presupporre il nostro archivio culturale: in una parola, il nostro linguaggio.

 

Se davvero esiste una terra incognita, questa è dunque dentro di noi e, per arrivarci, l'uomo globale ha bisogno di conoscerla attraverso un nuovo modo di viaggiare. Un viaggiare lungo linee di confine non tanto geografiche, quanto metafisiche: fra il noto e l'ignoto, fra l'andare e il tornare, attraverso soglie che di volta in volta ridisegniamo a seconda della profondità del nostro sguardo, o dell'acutezza del nostro ascoltare, del nostro fiutare e assaporare. E' vero. Troveremo sempre orme di qualcuno che ci abbia preceduti, benché nessuno mai sia riuscito a pronunciare l'ultima parola.

 

Prendiamola dunque con filosofia: la verità è una conquista che appartiene a noi soli, abitatori del tempo. Arditi lettori, quanto infaticabili viandanti, in cerca di una parola che ci affranchi dalla banalità dell'oggi e, d'ogni moda passeggera, altrimenti sorrida.

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